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Le norme antiterrorismo di Alfano? Per ora ci sono solo gli annunci

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"Abbiamo pronta una legge per contrastare meglio i foreign fighter", diceva Angelino Alfano l'8 gennaio, cioè il giorno seguente l'attentato a Charlie Hebdo. Una legge "per agire anche sul web, usato da chi si radicalizza", che il ministro dell'Interno ha annunciato in una serie infinita di interviste in tv, radio, sui giornali: ovunque. Ma che a quanto pare non è "pronta" come sosteneva Alfano. Ieri è giunto infatti il secondo (benvenuto) rinvio, dopo quello di martedì motivato dall'esigenza, spiegava Matteo Renzi, "di tenere insieme anche le missioni internazionali" e di farlo con un unico decreto legge. Se ne riparla invece il 28 gennaio.

Ma perché? Scrive la Stampa di oggi: "La ragione ufficiale del ritardo del confronto, fornita da fonti del Viminale, allude al fatto che la parte del decreto inerente le missioni internazionali debba ancora essere messa a punto". Lo scrive anche il Fatto, che aggiunge tuttavia come nebbie e misteri avvolgano ancora anche l'altra parte di quello che avrebbe dovuto presentarsi, come detto, sotto forma di decreto: "fonti del ministero della Giustizia, infatti, spiegano al Fatto che neanche le norme sul terrorismo sono ancora pronte. Bozze sì, ma nulla di più". Le perplessità riguardano secondo la Stampa proprio la realizzazione di una procura antiterrorismo per decreto (non sarebbe possibile, secondo la magistratura), e soprattutto si innescano all'interno di uno "scontro governo-ragioneria" che al quotidiano torinese risulta confermato da "più fonti istituzionali": "chi gestisce i cordoni della borsa è, insomma, preoccupato di non riuscire a recuperare il denaro indispensabile a un programma efficiente". Renzi, garantisce la Stampa, "preme" per una soluzione. Staremo a vedere.

Di certo, del presidente del Consiglio il ministro sembra avere interiorizzato il metodo: prima gli annunci, poi la sostanza, coperture comprese; nel mezzo un bel velo di silenzio sulle contraddizioni. È l'ormai arcinoto dominio della velocità - annunciata, of course - sui fatti. Non dovevano essere queste norme "urgenti" e "necessarie", come ricorda sempre il Fatto (e conferma la mia memoria dei giorni immediatamente seguenti la strage), a mettere in sicurezza il paese dai rischi "elevatissimi" che starebbe correndo - pur in totale assenza di minacce specifiche, come ripetutamente sostenuto anche dallo stesso Alfano? Tertium non datur: o il ministro e il governo giudicano che il paese, nell'attesa si accordino, possa rischiare, o la minaccia non è "urgente" - e le norme vigenti così insufficienti - come entrambi lasciano intendere.

Nel frattempo, tuttavia, l'isteria per i foreign fighter che potrebbero mettersi all'opera in Italia sta già concretamente producendo situazioni che destano più di qualche preoccupazione, e confermano che anche il nostro paese rischia di cedere alla tentazione dello "stato di polizia", meglio se a partire dal controllo in rete:

Esempi cui oggi si aggiunge il caso di un albanese di 30 anni arrestato per documenti falsi mentre cercava di raggiungere Londra da Milano e Catania, ma il cui processo di segnalazione alle autorità riguarda anche "selfie con il kalashnikov" in una chiavetta USB. Riassume Repubblica: "Nove giorni fa a Milano era stato solo denunciato ma ieri la scoperta di quelle foto inquietanti nella pen drive e nel laptop lo hanno portato dritto in carcere con il sospetto che possa essere uno dei tanti simpatizzanti della jihad pronti ad aggregarsi a gruppi terroristici" (p. 19).

In questa situazione di emergenza all'italiana, tra annunci, ritardi e una continua istigazione al panico (anche quando infondato) e dunque a chiedere più misure restrittive per curarlo, il presidente del Consiglio - come da tradizione sul rapporto tra sicurezza e privacy - semplicemente non si esprime:

Che dovrebbe dire? Carlo Blengino in uno splendido pezzo sul Post ha qualche suggerimento, per il legislatore e noi tutti:

"Bisognerebbe riscrivere l’art. 21 della Costituzione, abrogare la Legge Stampa del 1948 e ricostituire da capo «l’area di tolleranza costituzionalmente imposta dalla libertà di espressione nel XXI secolo». Per ora, con questi legislatori, è più realistico limitarsi a far ciò che si può per evitare l’approvazione del DDL Diffamazione, e vigilare sulle proposte che si preannunciano in nome della sicurezza nazionale".

Da queste parti, come direbbe Alfano, l'allerta è massima.


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